Cipro 1571
Per dieci mesi un pugno di valorosi Veneziani, guidati da Marc’Antonio Bragadin, si opposero alla potenza ottomana….
Il capitano Roberto Malvezzi scese a precipizio le scale verso il piu’ profondo sotterraneo del forte del Rivellino. Le cannonate scuotevano le mura….. si udivano le urla dei combattenti, il crepitio della fucileria. Sulla spianata alla sommit` della fortezza, i turchi avevano conquistato le trincee scavate dai veneziani e stavano per sopraffarli, Malvezzi corse nell’ ultima galleria accecato dai calcinacci, trovo’ a tentoni i barili delle polveri e il cordone della miccia che lui stesso, assieme al colonnello Alvise Moncenigo, aveva predisposto giorni prima per quel caso estremo. Le mani gli tremavano: perdette momenti preziosi, allora con fulminea decisione, taglio’ la micia di perse’ gia’ corta e l’ accese: per un attimo guardo’ rapito la fiamma guizzante e subito dopo si precipito’ sulle scale per risalire all’ aperto…..alcuni secondi dopo le polveri esplosero e dalle viscere del Rivellino, con un boato vulcanico, eruppe una massa di pietroni e di terriccio. I combattenti furono proiettati in aria e la fortezza, svuotata e squassata, rovino’ in una frana che travolse e seppelli’ i vivi e i morti, i turchi e i veneziani. Un’enorme polverone oscuro’ il cielo, l’ onda impetuosa degli attaccanti, per un attimo si fermo’, il respiro venne meno e la marea umana si ritrasse. Era il mezzogiorno del 9 luglio 1571. Un enorme silenzio segui’, i pochi difensori sopravissuti cominciarono, esausti a riordinarsi fra le macerie, subito si resero conto che i morti, dell’ una e dell’altra parte erano migliaia. Il colonnello Martinengo, che aveva dato l’ordine di far saltare la santabarbara del Rivellino, cerco’ invano l’ amico Malvezzi…..
Nel febbraio dell’ anno precedente, l’ impero turco, all’ apice della sua enorme potenza, adducendo numerosi pretesti, aveva “ordinato” a Venezia di consegnali l’ isola di Cipro. Cipro, veneziana dal 1489, si trova incastonata a breve distanza tra le coste dell’ Anatolia e della Siria, entrambe controllate dalla Sublime Porta. L’ isola aveva acquistato nel tempo sempre maggior importanza strategica, divenendo nel contempo anche l’ ultimo baluardo cristiano. Il rifiuto da parte della Repubblica di Venezia, apri’ una guerra che doveva concludersi con la battaglia navale di Lepanto e che fu una delle piu’ drammatiche affrontate sino allora dalla Serenissima per arginare la straripante invasione turca verso il Mediterraneo e l’ Europa.
Il gigantesco esercito ottomano, il piu’ possente dell’ epoca, inizio’ lo sbarco sull’ isola il 10 luglio 1570, sulla spiaggia tra Limassol e Larnaca. La capitale dell’ isola, Nicosia, era poderosamente fortificata, fu espugnata dopo soli due mesi di dura lotta e sterminati i difensori superstiti e buona parte ella popolazione, circa 20.000 persone, in un sol giorno.
Farmagosta, presto si trovo’ sola, la citta’ fortificata non si piego’ alle minacce di strage e respinse ogni intimazione di resa, per questo motivo venne accerchiata dalle truppe nemiche e bloccata dal mare con la loro flotta; apparve evidente a tutti che era condannata a morte sicura, se non fosse stata subito soccorsa dalla Madre Patria.
Gli ottomani la investirono infatti con una massa di truppe che ammontarono a circa 200.000 uomini, mentre il presidio veneziano ne contava appena 7.000. La Repubblica di San Marco, non era in grado di affrontare da sola la strapotenza dell’ avversario, per cui il Governo Veneziano stipulo’ una alleanza con la Spagna e lo Stato della Chiesa. Le flotte di questa “lega”, composta da 40 galee spagnole agli ordini dell’ammiraglio Doria e di 20 galee papali, si riunirono a Suda (isola di Candia – Creta) alla flotta veneziana, ai primi di agosto, per muovere verso Cipro. L’alleanza, pero’, era piu’ formale che sostanziale. Gli spagnoli miravano a diventare i padroni del Mediterraneo, contando sul fatto che i veneziani e i turchi si dissanguassero reciprocamente. Percio’ dopo lunghe discussioni tra i capi, la flotta alleata salpo’ verso Farmagosta soltanto il 20 settembre 1570 e quando fu a mezza via il comandante dell’armata navale spagnola, Gianandrea Doria adducendo il pretesto che la stagione era ormai troppo avanzata torno’ in patria a svernare; gli altri lo seguirono prudentemente. Girolamo Zane che comandava la flotta di San Marco, si oppose, ma poi si piego’ alle disposizioni del Doria, una cosa fu certa, appena tornato a Venezia fu destituito con infamia dal suo grado.
Nel frattempo i turchi avevano ultimato l’accerchiamento della citta’ fino a tiro di cannone cingendola in un vero e proprio assedio, cominciarono a bombardare le postazioni veneziane e l’abitato, convinti che Farmagosta che aveva respinto due intimazioni di resa, dovesse in breve cadere per conquista o per fame. La Farmagosta di quel tempo, prospero e felice emporio del levante, era stata costruita tre secoli prima dai reduci francesi delle Crociate; percio’ era ricca di palazzi e di chiese nel puro stile gotico, che i veneziani si affrettarono a proteggere dai bombardamenti con travi di sostegno e cumuli di sacchetti di sabbia. Sulle mura di Farmagosta furono messi in punteria almeno 500 cannoni d’ogni calibro, mentre i turchi ne piazzarono circa il triplo sulle alture che circondavano la citta’. Inoltre si prepararono ad impiegare mine grandi e potenti. Le mura di Farmagosta, furono ricostruite dal celebre architetto del tempo Sammicheli erano frutto delle piu’ avanzate concentrazioni belliche. La cinta rettangolare delle mura, lunga quasi quattro chilometri fu rafforzata ai vertici da possenti baluardi ed era intervallata da dieci torrioni e coronata da terrapieni larghi perfino trenta metri. Su questi si levavano numerose ridotte e casematte. Alle spalle, poi, le mura erano sovrastate da decine di forti, detti cavalieri, che dominavano il mare e la campagna, mentre all’ esterno erano circondate da un fossato ampio e profondo, sulla cui controscarpa occhieggiavano le trincee degli avamposti.
La principale direttrice d’attacco, infine, era difesa dall’ imponente massiccio forte Andruzzi, davanti al quale si protendeva, piu’ in basso, il forte del Rivellino.
Dalla parte nemica, i turchi, erano un esercito di risorse illimitate, condotto con grande energia e capacita’ personalmente dal capo supremo degli eserciti imperiali, Mustafa’ Pascia’ deciso ad ottenere che la conquista dell’ imprendibile Farmagosta diventasse la piy sfolgorante delle sue vittorie. Esistevano quindi i piu’ ampi presupposti per una massiccia e aspra battaglia, tanto piu’ che Venezia aveva scelto bene il suo Capitano Generale, a cui erano stati affidati pieni poteri, sia civili che militari. Discendeva da una delle famiglie piu’ antiche di Venezia, aveva 46 anni e si era gia’ distinto con varie e importanti cariche, sia civili che militari, in quest’ ultima come uffiziale di marina, al comando di reparti navali. Doveva passare alla storia per un destino atroce, tragico e glorioso; il suo nome era Marc’Antonio Bragadin.
Nell’ inverno, a cavallo degli anni 1570/71, mentre Mustafa’ assaggiava giorno dopo giorno le difese veneziane e la citta’ consumava le sue corte di cibo, piccole e veloci imbarcazioni, partite da Suda sfuggivano al blocco navale ottomano per inoltrare al presidio di Farmagosta, messaggi del Governo Veneziano, in cui si rinnovavano le promesse di soccorso e gli incitamenti ala resistenza. Bragadin quindi predispose tutto quanto il necessario a una lunga difesa e impegno’ sia il presidio che la popolazione a lottare fino all’estremo.
Infischiandosene dei turchi e dell’inverno, Antonio Querini, carica 4 velieri di viveri e imbarca su 12 galee 1.600 fanti veneziani della guarnigione di Candia. Quindi salpa alla volta di Cipro eludendo il blocco navale turco dove arriva il 24 gennaio 1571, gli assediati sono felici dell’arrivo del contingente, sebbene presto si rendono conto che l’aiuto e’ minimo rispetto alle necessita’. La grave situazione comunque non diminui’ un solo istante la fermezza e i propositi del Bragadin, convinto che la Madre Patria mai l’avrebbe abbandonato.
Tra marzo e aprile, poiche’ la flotta veneziana se restava immobile a Corfy, molti grandi convogli turchi poterono trasportare a Cipro, senza alcun disturbo e danno, decine di soldati e di armamenti d’ogni specie, fra i quali alcuni obici giganteschi. Mustafa’ Pascia’, stanco d’attendere la caduta della citta’ per fame, decise di passare all’offensiva, sicuro comunque di poter conquistare la citta’ in poche settimane se non addirittura, in pochi giorni. Cosi’, all’alba del 19 maggio, 1.500 cannoni turchi aprirono il fuoco, scatenando un bombardamento di potenza inaudita, che praticamente continuo’ ininterrottamente, sia di giorno che di notte, fino alla fine della caduta della citta’, cioh per 72 giorni. Il cannoneggiamento sistematico distrusse le postazioni difensive e debilito’ psicologicamente gli assediati. La popolazione di Farmagosta si rifugio’ terrorizzata nelle opere militari, aggravando la gia’ precaria situazione dei combattenti, anche se durante la notte, quando il bombardamento si attenuava, i civili parteciparono coraggiosamente, sia le donne che i ragazzi, a riempire le brecce con sacchi di terra e masserizie, a scavare trincee, a riparare le postazioni delle artiglierie. Contemporaneamente, a costo di migliaia di morti, i turchi colmavano tratti del fossato, con rampe di terra che salivano fino al ciglio delle fortezze, e sferravano assalti sempre piu’ violenti per irrompere nella citta’. Bragadin, tuttavia riusciva a mantenere vivo nei suoi uomini un tale coraggio, che le fatiche e i massacri, le speranze deluse e le privazioni, non sminuivano la loro foga combattiva; ed essi seguitavano a respingere ogni assalto, infliggendo inoltre al nemico perdite sanguinose.
Non appena l’assedio si era manifestato piu’ duro del previsto, Mustafa’ aveva dato inizio alla guerra delle mine. Si scavano lunghissimi cunicoli, che passando sotto il fossato, posto a perimetro della fortezza, permettevano ai guastatori turchi di raggiungere le fondamenta dei forti, che minavano con grandi quantita’ d’esplosivo. Il risultato era che vasti tratti di fortificazione saltavano all’ improvviso sotto i piedi dei veneziani, e subito i turchi balzavano sulle macerie, massacrando selvaggiamente e attaccando a piy ondate. Particolarmente gravi furono la mina che il 21 giugno, la qual apri’ una breccia nel baluardo dell’Arsenale e quella che il 29 giugno ne apri’ un’altra nel forte del Rivellino. I veneziani dopo molte ore di furiosa lotta a corpo a corpo, riuscirono sempre a contenere gli attaccanti.
Caddero sulla citta’ circa 170.000 cannonate, 5.000 solo nella giornata del 8 luglio, che fecero intuire l’imminenza di un attacco generale; infatti Mustafa’ lo scateno’ l’indomani, concentrandolo sulle brecce del Rivellino e dell’Arsenale, i turchi ancora una volta furono fermati, come all’inizio si e’ scritto, con il far esplodere l’intera fortezza sacrificando, con il capitano Malvezzi, quasi trecento fanti veneziani. Ormai Farmagosta era giunta all’estremo. Sulle mura rimanevano meno di 2.000 fanti, gran parte feriti o ammalati, comunque debilitati dalle fatiche e dalla fame. Da tempo infatti, esaurito ogni altro cibo, i soldati e i civili ricevevano solo una piccola razione di pane rancido e dell’acqua torbida con l’aggiunta di poche gocce d’aceto.
Il 14 luglio fu respinto l’ennesimo terribile assalto al Rivellino, ma la popolazione ormai disperata,, comincio’ a invocare la resa….. il 19 luglio Bragadin scrisse i suo ultimo rapporto al Governo della Repubblica, esponendo pacatamente la situazione, scrisse, in questa occasione anche alla famiglia. In questi estremi messaggi, letti con estrema commozione, da tutta Venezia, il Comandante della fortezza di Farmagosta, appariva consapevole dell’eminente perdita della citta’ e della propria vita.
Frattanto il comandante turco, adirato con i veneziani, perche’ tenevano in scacco il suo esercito oltre ogni aspettativa, ordino’ un’ offensiva di schiacciante e decisiva potenza
Il 29 luglio, decine di migliaia di soldati turchi sferrarono un generale attacco, che continuo’ senza pause per 48 ore, fino alla sera del 31 luglio, ma incredibilmente, moltiplicandosi nei punti piu’ contesi i decimati soldati di San Marco, a corto di munizioni, riuscirono ovunque contenere la furiosa marea delle truppe imperiali. La notte stessa una mina di grande potenza, fece saltare in aria l’intero bastione dell’Arsenale. Tutti i difensori di quel baluardo furono inghiottiti dall’enorme frana, ma altri accorsero nel buio e si batterono “non da uomini ma da giganti” , così scrisse Mustafa’ Pascia’, ancora una volta arginarono e respinsero l’occupazione turca. Infatti il 10 agosto gli ottomani si ritirarono esausti, lasciando il campo di battaglia letteralmente coperto di cadaveri, tra i quali i figlio primogenito del Mustafa’. Per la prima volta, dopo 72 giorni, i cannoni turchi tacquero e un silenzio incredibile scese sulla citta’, i veneziani si sostarono attoniti; avevano vinto anche questa battaglia. In campo avverso, Mustafa’, preoccupato per l’inverosimile sconfitta e per le gravissime perdite subite era lontano dall’ immaginare le misere condizioni dei veneziani.
Tuttavia penso’ di poterli finalmente indurre a desistere da quella atroce lotta, offrendo patti altamente onorevoli e generosi: salvi la vita e i beni di tutti, indistintamente, gli assediati, pieno rispetto della popolazione, onori militari e il loro trasporto a Suda. Lo stesso giorno un parlamentare porto’ in citta’ la proposta turca, il Bragadin depreco’ il fatto che lo si avesse lasciato entrare e non volle neppure vedere il documento inviatogli. Il colonnello Baglioni, lo avverti’ crudelmente che, dopo l’ ultima battaglia, rimanevano munizioni sufficienti per una sola giornata di fuoco, e soltanto 700 soldati compresi i feriti, consigliava quindi convocare gli Ufficiali, i magistrati, il vescovo, i capi popolo, per una consultazione. Riunito il consiglio, solo Martinengo e pochi ufficiali dichiararono che era meglio morire in un estremo combattimento, in quanto gli infedeli sicuramente avrebbero tradito i patti. Ma la maggioranza, capitanata da Baglioni, ormai ribelle spezzo’ la ferrea tenacia con cui Bragadin aveva condotto un anno di guerra, conscio ormai non vi erano piu’ mezzi per continuare la battaglia. La capitolazione venne firmata e i 4 agosto, i turchi entrarono in citta’, e i veneziani iniziarono ad imbarcarsi sulle navi a loro concesse per navigare verso Suda. Mustafa’, chiese, con molta cortesia, che il comandante della piazza e i suoi ufficiali si recassero, prima di partire, da lui perche’ desiderava conoscerli e complimentarsi con loro per la valorosa difesa condotta. Mustafa’ accolse con grande cortesia i suoi ospiti non mostrando nel contempo nessun desiderio di vendetta nei loro confronti. Questo sentimento ben celato esplose all’improvviso, il comandante turco estrasse il suo pugnale e mozzo’ personalmente l’orecchio destro del Bargadin e dette l’ordine a un giannizzero di fare altrettanto con l’altro e con il naso, fu l’inizio di un massacro che comincio’ proprio con il Baglioni, in pochi minuti caddero e furono accatastate circa 350 teste di soldati veneziani. Contemporaneamente, dimostrando un piano preordinato, i civili e i pochi soldati che attendevano a bordo delle navi furono imprigionati, per essere deportati a Costantinopoli. Al Bragadin, Mustafa’ riservo’ un martirio cosi’ orrendo, che perfino il Sultano poi lo rimprovero’ del suo misfatto. L’ira infatti si sviluppo’ in un odio feroce, quando il generale turco accerto’ l’esigua forza dei veneziani e delle loro munizioni, messe a confronto delle enormi perdite subite intorno e sulle mura di quella citta’; che ammontavano a circa 80.000 uomini, fra i migliori dell’ esercito imperiale.
Il mattino del 17 agosto dopo tredici giorni di continue e atroci torture, Marc’Antonio Bragadin fu trascinato in mezzo alle truppe turche per le vie di Farmagosta, sui forti, sui terrapieni, sui baluardi. Stremato, ferito e piagato, fu costretto a trasportare pesanti carichi di terriccio fra le percosse e le offese di ogni genere. La dignita’ con cui sopportava ogni sevizia, accresceva la ferocia degli aguzzini. Venne infine condotto nella piazza principale della citt` che nel frattempo aveva subito un terribile saccheggio diventando scenario di una delle piy atroci stragi e in questo spazio il calvario del Bragadin assunse i toni di vero martirio. Denudato, venne legato alla colonna da cui era stato abbattuto il Leone Marciano, e scorticato vivo. Il boia incaricato dell’orribile compito inizir dalla schiena e dal collo staccando lentamente dal corpo vivo la pelle, spogliandola in un sol pezzo. Prosegui’ con le braccia e il torace, gridando al veneziano: “fatti turco se ti vuoi salvare!”. La vittima sopporto’ tutto il terrificante supplizio con sovrumano coraggio non emettendo un sol gemito. Solo alla fine disse: “sono contento di morire dove sono morti tanti bravi soldati”. Spiro’ sul finire della lunga tortura, p;ancora in piedi addossato alla colonna. Il martirio, che per i turchi doveva essere una barbara festa, si compì nell’ attonito silenzio di migliaia di uomini, soggiogati dalla suprema dignita’ di quella morte. La pelle di Marc’Antonio Bragadin fu imbalsamata e portata come trofeo aIstanbul, dove fu sottratta da uno schiavo e trovo’ riposo a Venezia in un monumento nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo.
Solo dopo 400 anni, scavando fra le devastate rovine delle fortificazioni di Farmagosta, e’ stato riportato alla luce l’orrenda tomba di un vivo: un tronco di galleria, adducente al Rivellino, che l’esplosione e i secoli avevano lasciato intatto, perche’ occluso dalle estremita’ della frana. A terra c’erano i poveri resti polverizzati di un uomo, un anello d’oro, una fibbia da ufficiale della Repubblica di Venezia, il capitano Roberto Malvezzi custodiva ancora gelosamente l’ultimo tratto di mura mai espugnato.