12 maggio 1797
1 maggio 1797
Dalla Fortezza di Palmanova, il corso Bonaparte dichiarava guerra alla Repubblica di Venezia, l’ ultimatum, in chiusura riportava l’ordine impartito alle sue soldataglie: ” … di trattate come nemiche le truppe venete, e di abbatte in tutte le Città il Leone di San Marco….” ( il maiuscolo è riportato come nell’originale).
2 maggio 1797
Le reclute giungevano da tutta l’Istria e la Dalmazia, erano, a vedersi, belle e forti, e passando al suono dei tamburi e dei pifferi dinanzi al Palazzo Ducale, imbarcate sui burchi che le trasportavano, non resistevano dal gridare “Viva San Marco, Viva il nostro Principe”, liete di poter dimostrare l’affetto e la fedeltà le legavano la loro regione alla Repubblica Serenissima. Solo pochi giorni prima i Rovignesi volevano partire dalla loro città, per difendere antica Dominante, con ben 150 barche. La Città era ormai piena di soldati comandati per lo più dai Capitani e dai Bassi Ufficiali delle Cernide. Seicento Morlacchi se ne stavano a Poveglia agli ordini del capitano Martinovich: erano giovani che per lo più non conoscevano mogliera, a questi era stato concesso di vestire all’usanza del loro paese, e di essere armati di fucile, di pistole e di ganzaro[1]. Infatti ogni giorno arrivano a Venezia imbarcazioni, stracolme di giovani provenienti dalla Macarsca, da Perzagno, dalla Schiavonia, e dal Montenegro, allegri alle loro armi e nel loro costume nazionale giravano a gruppi per la città, ammirati per la loro grandezza e terribile figura, al grido di “qui non si tema, venga chi voglia, accoparemo e mozzeremo”, ballavano tra di loro e cantano nel loro natio idioma per esprimere il desiderio di dar prova del loro valore e la gioia d’esser a difender il loro Sovrano. Pieni d’entusiasmo, avevano abbandonato serenamente interessi e famiglie per offrire il loro valido braccio alla Patria, forse un pò ingenui e commoventi nelle loro manifestazioni di attaccamento al secolare Governo. Fu proprio durante una rassegna, passata ad una compagnia di oltremarini, accasermati nell’isola di San Giorgio, uno di questi interrogato sulla sua provenienza, cosi si esprimeva a Giuseppe Priuli aiutante di campo del Kavalier Nani: “O’ servito tutta la passata guerra col fù K.r Emo; fatta che fù la pace, ritornai a casa mia e trovai morti padre e madre ed un fratello che mi restava. O’ inteso che il mio Principe nuovamente bisogno di me, ò chiuso la porta della mia casa e sono venuto a servirlo a dargli la mia vita. Queste sono le chiavi della porta, a te le consegno principe mio; se viverò, me le ridarai al mio ritorno a casa, se morirò te fazo dono de tute le mie sostanze”.Non possono non commuovere profondamente così alti e nobili sentimenti, la cui fedeltà e amare per la Patria erano dai sudditi sentiti in tal grande misura, da pretendere, in quei fortunosi momenti, più energia e dignità da parte del Governo della Repubblica……
[1] Pugnale alla moda dei turchi
12 maggio 1797 – il giorno tremendo
Il Doge Manin aprì la seduta…. il clima era pesantemente silenzioso, e la tensione era grave nell’aria, tutti sapevano benissimo che quella sarebbe stata l’ultima seduta del attuale Governo. Fuori in Piazza, il clima si stava riscaldando e poteva da un momento all’altro trasformarsi i un tumulto, dalle mercerie giungevano il rumor delle botteghe che si chiudevano, i veneziani accrescevano sotto il Palazzo Ducale per conoscere le loro sorti. Fra di loro ben pochi speravano nel “liberatore” francese, in molti invece temevano il nuovo ordine. Si intesero in Piazza varie archibugiate, all’interno del Palazzo mentre il Doge leggeva il decreto napoleonico, tutti gli astanti corsero alle finestre, e rientrando in sala dissero: “niente, niente è tutto quieto e le archibugiate furono d’allegria”. Battendo le mani all’orator dissero: “Sia mandata la Parte”. La mozione fu mandata al ballottaggio, nonostante la nullità della seduta per la mancanza di 63 senatori per raggiungere il numero legale per le deliberazioni. La mozione passò con 512 voti a favore, 20 contrari e 5 non sinceri. Uscite le voci di quanto era successo in Consiglio, si intese un gran crescente di mormorio di Popolo che si trasformò ben presto in sollevazione. Era il 12 Maggio 1797 quando poco dopo le 17.00, il tumulto del Popolo, degli arsenalotti e di un’infinità di Bocchesi, armati di fucili e palosci snudati andavano gridando “Evviva San Marco” e protestando che non volevano né francesi, né cambiamento di Governo. Un onda di Veneziani presero a Castello tre Insegne di San Marco, che portarono con gridi ed Evviva in Piazza, e le innalzarono alle cime dei tre stendardi dove si impiantarono vari armati per custodirle e difenderle, al fine che nessuno osasse toccare il glorioso emblema. Bandiere di “San Marco in forma de Lion” vennero così contemporaneamente alzate nei principali campi della città. Il sentimento d’ira e di vendetta prese il Popolo verso i traditori e fautori della rivoluzione. Già nel pomeriggio dello stesso giorno cominciarono le devastazioni delle case di quei sciagurati che non avevano amato il vecchio Governo. Contro la marea irrompente dell’irrefrenabile Popolo, eccitato e incoraggiato, veniva ordinato al patrizio Beniamino Renier di far uso di tutta la forza pubblica per ricondurre la calma nella Città. Soldati italiani venivano disposti in Piazza San Marco e in altri siti di Venezia; ben quattro pezzi di artiglieria furono collocati sul piazzale del ponte di Rialto per impedire il passaggio al popolo tumultuante con quattro tiri a mitraglia fece uccidere cinque cittadini veneziani, alcuni schiavoni e vennero feriti altri quindici individui. Così le armi che da una lunga serie di mesi erano state improntate per la difesa della Patria, venivano usate non contro il nemico, ma contro i Veneziani stessi.